Un fuoriclasse e tre vecchietti sulla Grivola
di Nino Bottino
Il “vecchietto” che scrive ha salito durante la primavera e l’estate del 2008 otto “montagnoni”: Gross e Hinter Fiescherhorn (rispettivamente 4049 m e 4025 m), Finsteraarhorn (4274 m), Gross Grunhorn (4044 m), Aletschhorn (4193 m), Weisshorn (4505 m), Taschhorn (4491 m) e Schreckhorn (4078 m). Compagni di gita sono stati Armando Antola (presente in tutte le salite), Alberto Tabuani per Gross e Hinter Fiescherhorn, Finsteraarhorn e Aletschhorn e Massimiliano Vignolo (unico giovane citato in questo scritto) per Aletschhorn, Weisshorn, Taschhorn e Schreckhorn.
Fino a qualche anno fa non avrei mai pensato di poter salire da vecchietto queste vette, che sono tra le più grandiose delle Alpi.
Un carissimo amico (Claudio D’Angelo) dice scherzosamente che non hanno valore perchè è come se fossero state salite con la guida. Inutile obiettare che quattro le abbiamo salite slegati. , una l’ho salita da primo altre di conserva e in parte da primo. Solo per una, il Taschhorn, ha ragione; la sua salita la dobbiamo effettivamente alla classe di Armando.
Al termine dell’estate dovrei pertanto ritenermi più che soddisfatto. Invece arrivati a ottobre mi sembra che per chiudere la stagione manchi ancora qualcosa.
La meta che manca è una montagna che si mostra come una sfida ogni volta che si percorre la Valle d’Aosta tra Villeneuve e Sarre: all’improvviso infatti guardando verso Sud appare la Grivola con il suo versante più bello.
Vorremmo salirla per la cresta ENE o delle Clochettes. Il nome Clochettes fu dato al colle dove è posto attualmente il bivacco Balzola, dall’alpinista “…G. Yeld che dal colle udì distintamente il suono dei campani delle mandre pascolanti nel piano del Nomenon (Guida del Gran Paradiso di R. Chabod)”.
Il problema è che le giornate sono corte , ha nevicato all’inizio di ottobre e non sappiamo quali siano le condizioni della montagna.
A metà mese telefono alle guide di Cogne le quali mi dicono che la cresta è innevata e la dovremo salire tutta con i ramponi ai piedi, la stessa cosa forse anche per la via normale di discesa (parete SE). Mi sembra un po’ strano perché l’ultima nevicata risale a 15 gg fa, però l’indicazione è di una guida locale che, come mi dice, vede la parete NE e quindi la cresta dal balcone di casa sua.
Ne parliamo con gli amici e decidiamo di andare ugualmente, eventualmente ripiegheremo sulla via solita.
Alla gita partecipano un fuoriclasse, non più giovanissimo ma tuttora sulla cresta dell’onda, e tre vecchietti; tali sono in ordine di età:
Armando Antola 54 anni
Nino Bottino 58 anni
Alberto Tabuani 61 anni
Bruno Minetti 62 anni
Non c’è ovviamente bisogno di dire chi sia il fuoriclasse.
Partiamo da Cretaz e risaliamo il bosco di larici e abeti; è un tripudio di colori, dal verde al giallo al rosso con svariate sfumature, che a parole non si può descrivere. Sul percorso, vista la stagione, non c’è nessun altro bipede all’infuori di noi quattro. Ci sono invece parecchi camosci che brucano tranquilli e qualche gracchio alpino che compie inimitabili evoluzioni.
Il tutto in un gran silenzio reso più assoluto dal fatto che i ruscelli sono quasi secchi.
L’autunno in montagna è magico!
Giungiamo dopo cinque ore al colle del Pousset e al bivacco Gratton. “Ragazzi!?, sembra che le guide avessero ragione”. Da questo punto si vede uno scorcio di parete NE , la cresta delle Clochettes e un po’ di lato la via normale: sembrano tutte abbastanza innevate. Entriamo nel bivacco e ci apprestiamo a sistemarci ma dopo aver dato un’occhiata al percorso che dovremmo percorrere al buio da qui al bivacco Balzola cambiamo idea: è meglio raggiungerlo oggi; domani mattina potremo così partire appena la luce ce lo consente . Man mano che saliamo la scelta risulta sempre più azzeccata poiché il percorso e in particolare la salita dal ghiacciaio del Traso al colle delle Clochettes non è di agevole reperimento e la roccia è abbastanza marcia; figuriamoci se avessimo dovuto salire al buio. Arrivo al Balzola per primo, il resto della comitiva è appena sotto, e nell’esatto momento in cui ne tocco la lamiera un masso traballante si stacca da sotto i piedi e vola giù, fortunatamente distante dagli amici. Armando mi pare commenti così: ”meno male che era grosso, se fosse stato un sassolino avrebbe potuto entrare negli occhi”. In totale abbiamo salito per 2000 m.
Il bivacco, posto esattamente sulla cresta, è stato realizzato per ospitare quattro persone ma, essendo le sue dimensioni molto contenute, le due cuccette superiori a ribalta risultano di grande scomodità.
“Tu che sei piccolo”, mi dice Alberto “potresti accomodarti di sopra”.
L’altro posto claustrofobico lo prende Armando in vena di sacrificio (avrà modo di pentirsene).
Lo spettacolo da qui è da grande ambiente: la cresta ENE (delle Clochettes) ha una moltitudine di torri, spuntoni e pinnacoli di colore rosso e verde, la parete NE (800 m), innevata a chiazze, è di grande severità, così come la cresta N già definita ”…itinerario più bello ed elegante alla vetta (guida del Gran Paradiso di R. Chabod)”.
Tutta la cresta ENE è spruzzata di neve come già avevamo visto.
Cena frugale e alle 8 a dormire o meglio ci proviamo. La cuccetta dove mi sistemo è strettissima, non mi posso girare pena il rischio di cadere di sotto. Ho due coperte che in uno spazio così piccolo e con quattro persone nel bivacco dovrebbero essere sufficienti ma ho freddo; il motivo dipende dagli “spifferi” che raffreddano l’ambiente.
Comunque come al solito giunge l’ora di alzarsi ed è una liberazione.
Uno di noi che normalmente russa appena toccato il letto dice: “è stata una notte da incubo, non sono riuscito a chiudere occhio per la paura di cadere dalla cuccetta”. Alberto e Bruno si lamentano per il freddo però erano sistemati un po’ più comodi sui posti inferiori. Facciamo colazione preparando il tè con la neve sciolta la sera prima e aspettiamo che ci sia luce sufficiente per partire, cosa che faremo solo alle sette e mezza. Il tempo non pare proprio bellissimo come dicevano le previsioni ma poi migliorerà. “Ragazzi, le rocce sono in parte vetrate state molto attenti!” dico ai compagni e poi ci avviamo divisi in due cordate. Armando è legato con Alberto , io con Bruno (cordata di una traversata del Grepon di 31 anni fa).
Si comincia ad arrampicare subito, fortunatamente senza ramponi ai piedi. Le difficoltà sono intorno al II , III grado reso infido da traversate sulla neve che “sporcano” la suola degli scarponi e li rendono scivolosi. Bisogna continuamente batterli per togliere la neve da sotto. Non è proprio come avevano detto le guide ma poco ci manca. A parte questo l’arrampicata è molto bella su roccia buona in ambiente superbo. Non si riesce ad essere molto veloci per la questione della neve, e quando ci si gira indietro si constata che malgrado il tempo sia passato molto velocemente abbiamo guadagnato poco in altezza; la cresta è un continuo saliscendi. Ad un certo punto quello che aveva avvisato gli altri delle rocce vetrate scivola su una lastra in un punto facile e finisce rovinosamente a terra battendo le costole sulla roccia. Come avrete capito il malcapitato sono io. Malgrado il male che sento, soprattutto quando compio trazioni con il braccio sinistro, o effettuo calate in doppia dalle torri della cresta, andiamo avanti. “Dovete essere più veloci nelle manovre durante le calate altrimenti qui ci bivacchiamo” dice Armando.
In effetti dopo due ore e mezza di salita vediamo il bivacco distante ma ad una altezza non molto sotto la nostra e le torri della cresta ci stanno ancora quasi tutte davanti. I passaggi adesso diventano più difficili; dopo una delle doppie, mentre Armando e Alberto recuperano la corda, passiamo avanti noi e il passaggio successivo è di IV grado (“in scarponi con suola di Vibram sporca di neve”, come specificherebbe R. Chabod). Armando e Alberto ripassano davanti e si continua con salite di torrioni, aggiramenti e discese; la cresta non finisce mai. Arriviamo sotto una placca solcata da una fessura piena di neve. Armando e Alberto sono già sopra. Salgo io e mi parte un piede, tiro con le braccia e incastro una gamba nella fessura (v. foto1).
Non vorrei che si ripetesse l’inconveniente, poiché i movimenti repentini mi causano delle forti fitte al costato, pertanto chiamo gli amici che mi calano la corda. Salita la placca riprendiamo l’assetto a due cordate e raggiungiamo la base di una bellissima torre (v. foto 2). Tra i componenti del gruppo i vecchietti sono abbastanza impressionati dal suo aspetto arcigno, senza però volerlo ammettere apertamente, e quindi propongono, invece della salita diretta, un aggiramento a sinistra scendendo da un intaglio e percorrendo una cengia di roccia marcia sul lato sud. A rinforzo dell’idea sostengono che, guardando proprio bene, la roccia non sembra così sfasciata come era apparso da un primo esame, che si guadagnerebbe tempo e infine che non si possono mica salire tutti gli infiniti spuntoni di cui la cresta è munita. Il fuoriclasse del gruppo replica secco che lì la roccia è proprio pessima e conclude che è meglio salire la bella placca di roccia sana dove ha visto anche un bel chiodo. I vecchietti si sottomettono loro malgrado alla volontà del più forte (in effetti è sempre così che vanno le cose anche in altri aspetti della vita). Armando e Alberto salgono; ho appena il tempo di chiedere prima all’uno e poi all’altro “come è ?”, ricevendo rispettivamente queste due risposte: “si va” e “è difficile”, e i due amici spariscono dietro la cima della torre.
Salgo io mentre Bruno mi assicura. Effettivamente l’arrampicata è molto bella ma le difficoltà sono dell’ordine del IV grado e il tiro è più di 20 m; il chiodo, un friend e un cordino attorno ad uno spuntone rendono la salita più sicura. E’ il passaggio più difficile della via. Giunti in cima alla torre vediamo che le difficoltà sono finite ma sono già le 12.30 e la cima è ancora 250-300 m più in alto. Armando e Alberto intanto ci hanno preso un bel vantaggio (15 minuti ca.); li vediamo che stanno raggiungendo il costolone destro della parete S-E su cui passa la via normale. Però questo Alberto va come un treno; mi sorge il dubbio che Armando abbia preso la rincorsa e che nell’impeto di salire se lo stia trascinando dietro come un fuscello. Io sono un po’ stanco e acciaccato e quando raggiungiamo la via normale e mancano c.a. 150 m alla cima i due amici sono già incamminati verso di essa. Sono pressappoco le 13.20 , ci fermiamo a mangiare qualcosa.
Vediamo i compagni salire e sentiamo distintamente Alberto che fermandosi dice: ”sono senza fiato”. E’ la giusta pena che deve pagare chi si lega con gli Accademici abbandonando al loro destino i compagni meno bravi. Alle 13.30 sono in cima. Diciamo loro che rinunciamo alla vetta. Mi dispiace un po’, soprattutto per Bruno che non è stanco: anche se adesso ha i capelli candidi e si porta appresso “62 berrette”, la grinta è ancora quella del Grepon e di altre salite difficili di 30 e più anni fa.
Lo invito pertanto a salire da solo non essendoci più alcuna difficoltà, si tratta solo di camminare. Poi , vuoi perché i 10 minuti di riposo e il fatto di aver mangiato qualcosa mi hanno rinfrancato, vuoi perché una voce maligna dalla cima dice: “guarda che qui non ci ritorniamo più!”, lasciamo gli zaini e ci incamminiamo verso la vetta che raggiungiamo alle 14. Stiamo su di essa per una decina di minuti, facciamo qualche fotografia, guardiamo lo spettacolo delle Alpi, anche se le innocue nuvole che si sono levate ci impediscono la vista sui gruppi più lontani; vediamo, tra i vapori che la avvolgono, la costiera dal Gran Sertz al Gran Paradiso con l’Herbetet che ho salito con Armando nel 1978.
A N-E , ben 500 m più in basso, compare l’Emilius, un altro dei simboli della valle, superato però, non solo in altezza, dalla Grivola. Quest’anno è stato salito in gita sociale da un gruppo del CAI ULE condotto dall’amico Franco Benvenuto.
La vista della via che abbiamo appena salito è bellissima; effettivamente come scrive R. Chabod nella sua guida del Gran Paradiso la cresta “…presenta una serie tale di spuntoni e spuntoncini da costituire nel suo insieme la più attraente via di roccia alla vetta…”
E’ questo vissuto in cima uno degli attimi di felicità che ci regala la vita, non ci si può fermare per prolungarlo perché già una voce dal basso ci intima che bisogna scendere. Li raggiungiamo, mangiamo ancora qualcosa e incominciamo a scendere la via normale.
Fortunatamente l’informazione delle guide sulla via solita è errata, c’è sì un po’ di neve ma non costituisce un problema. Scendiamo lungo il costolone seguendo qualche segno giallo e poi gli ometti; la roccia è molto brutta anche se facile, comunque scendiamo legati sempre in due cordate. Visto che non ho abbastanza male alle costole trovo il modo di farmi pestare il dito mignolo della mano sinistra da un sasso, procurandomi un’unghia nera.
Scendiamo con due doppie dal costolone e percorriamo il canale a destra dello stesso, fino a giungere sul ghiacciaio del Traso. Sono le 17.30 e a questo punto è chiaro che dovremo passare la notte al bivacco Gratton. Ci leghiamo in un’unica cordata e procediamo sul piatto ghiacciaio. Questo sembra apparentemente innocuo, è invece pieno di buchi che a occhio non si riescono a individuare perché coperti dalla neve di inizio mese. Alberto e Armando però sono molto bravi e li scoprono ugualmente, usando la tecnica di finirci dentro. Alberto è addirittura intenzionato a esplorarli più a fondo e per farlo ci sprofonda dentro fino alle ascelle. Malgrado gli sforzi compiuti non riescono però a superare la prestazione ottenuta da Bruno qualche anno fa, quando è riuscito a discenderne uno in velocità per 7-8 metri. Comunque sia procediamo sicuri a corda tesa e raggiungiamo la sponda opposta al calar della notte. Quando arriviamo alle catene che aiutano a risalire al colle del Pousset bisogna accendere le lampade frontali. La risalita della prima catena, che permette di superare un piccolo salto strapiombante, con lo zaino pesante e la stanchezza della gita nelle gambe, è particolarmente faticosa e per me anche dolorosa a causa del male alle costole che si riacutizza per lo sforzo di sollevarmi con le braccia. Arriviamo al Gratton alle 19.30. Telefono alla mia “grivolina” (come scrive l’abate Henry, alpinista nonché grande esperto di toponomastica, “ …in dialetto si dice …. grivolina per bella ragazza…..; nessun dubbio per me che la parola Grivola voglia dire ragazza…”) per rassicurarla e per confermarle che pernotteremo al bivacco. Questo a paragone del Balzola ci sembra un albergo a tre stelle; ci sistemiamo comodamente, mangiamo qualcosa di quanto ci è rimasto e poiché abbiamo ancora del gas riusciamo a bere del tè bollente.
Ci mettiamo a letto e trascorriamo la notte al caldo anche se fuori tira un vento furibondo. La mattina, dopo aver fatto colazione con tè e biscotti, lasciamo il bivacco alle 7,30; le lastre sotto il colle sono vetrate ma questa volta non mi “fregano”. Scendiamo verso Cogne incontrando camosci e stambecchi. Ci fermiamo al casotto del parco per una seconda colazione a base di lardo, prosciutto crudo , salame e biscotti. Alle 10,30 siamo a Cretaz dove, come tutte le cose, anche questa bella gita ha termine. Quando ripercorrendo la Valle d’Aosta getterò lo sguardo sul bel versante N della Grivola con la cresta delle Clochettes, questa non mi apparirà più come una sfida ma come ricordo di tre bellissimi giorni trascorsi lassù con tre carissimi amici.